Casablanca suonano “Casablanca”. Scusate il gioco di parole ma avevo proprio voglia di iniziare così. Non c’era altro modo, secondo me, che partire con questo piglio per parlare di un album di una band nata da poco che dà il nome dato alla band – scusate anche questo gioco di parole – per l’album di debutto. Ho scritto, qualche pezzo fa, dei Deasonika, di quanto abbia amato la band di Max Zanotti. Una band che raccoglieva, a mio avviso, tutte le sfumature della musica italiana, senza essere pretenziosa. Raccoglieva la voglia di alienarsi rispetto al pop inteso così come si sta evolvendo, senza però divenire snob; raccoglieva il desiderio di sperimentare, senza però voler strafare; il desiderio di scrivere pezzi mai banali, senza però divenire stucchevoli. I Deasonika sono stati una lingua di un fuoco arso da band come Afterhours, Subsonica e via dicendo. Gli anni migliori, s’intende. In fondo, una band che conta tra i suoi componenti, un membro come Marco Trentacoste, non potrebbe sicuramente fare cose di poco conto.
Il progetto Deasonika è finito. Senza se e senza ma.
Ci ho già scritto su loro. Max Zanotti si è dato alla produzione di altri artisti, si è dedicato a scrivere testi per altri, oltre che alla creazione di un progetto solista e un altro insieme al Dj Myke. Zanotti ha talento. A volte tutto ciò si sviluppa al meglio, a volte rimane sotto traccia, tuttavia non si può dire che sia privo di idee. Dalle ceneri di idee, progetti paralleli, nascono i Casablanca. Forse anche dalle ceneri di tutte quelle intenzioni positive che hanno permeato tutti i progetti di Zanotti, sempre in balia delle sue intuizioni musicali, che siano sperimentali, che siano cantautorali. Idee, desideri, che, in rapporto alla musica creata dai Casablanca, risultano essere dei ghirigori, nulla più. Perché i Casablanca sono un ritorno all’ossatura della musica intesa come riduzione all’essenzialità, al giro di basso nudo e crudo, al riff di chitarra che ti rimane in testa, al groove di una batteria suonata con tutta la forza che si ha in corpo, a dei testi che non lasciano spazio ad intuizioni, se non le intuizioni semplicisticamente semantiche che una parola può raccontare. Appena ho fatto partire “Casablanca” la sensazione è stata proprio questa.
È un album diretto, spesso troppo.
Prosegue a pagina 2 —>
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